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Don Milani

Don Milani

Lorenzo Carlo Domenico Milani Comparetti nasce il 27 maggio del 1923 a Firenze, figlio di Alice e Albano: il padre è un chimico proprietario di immobili a Montespertoli, mentre la madre, allieva di James Joyce. proviene da una famiglia di ebrei boemi.

L'infanzia

Nel 1930 Lorenzo si sposta a Milano insieme con il resto della famiglia, spinta al trasferimento da ragioni economiche: qui, però, i Milani vengono isolati dal resto della società, a causa delle loro posizioni agnostiche e anticlericali. Per rimediare, i genitori di Lorenzo (che si erano sposati solo con rito civile) decidono di unirsi in matrimonio con rito religioso e di battezzare i figli, incluso lo stesso Lorenzo.

Crescendo, egli si rivela un ragazzo molto intelligente e vivace, interessato alla pittura: sviluppa tale passione dapprima privatamente, e in seguito iscrivendosi all'Accademia di Brera.

Nel corso di una vacanza a Gigliola, nell'estate del 1942, si dedica all'affresco di una cappella, e in questa occasione ritrova un antico messale, che inizia a leggere con grande interesse.

La vocazione

Ritornato a Milano, si appassiona alla liturgia. Un anno più tardi, nel giugno del 1943, Lorenzo Milani decide di convertirsi, complice un colloquio con don Raffaele Bensi: il 12 di quel mese viene cresimato dal cardinale Elia Dalla Costa.

A novembre, invece, entra nel seminario di Cestello in Oltrarno: si tratta dell'inizio di un periodo alquanto impegnativo, anche a causa dello scontro tra il modo di fare e il pensiero di Lorenzo con la mentalità della Curia e della Chiesa, di cui il giovane toscano non capisce molte cose; manierismi, prudenze e regole che, secondo lui, si distaccano in misura significativa dalla sincerità e dall'immediatezza del Vangelo.

Don Milani

Nonostante ciò, egli il 13 luglio del 1947 viene ordinato sacerdote, sempre dal cardinale Elia Dalla Costa, nel duomo di Firenze. In seguito Don Milani viene spedito a San Donato di Calenzano, nei pressi di Firenze, come coadiutore: qui stringe amicizia con diversi sacerdoti (tra cui Renzo Rossi, Bruno Borghi e Danilo Cubattoli) e lavora per una scuola popolare di operai.

Durante gli anni a Calenzano collabora con Agostino Ammannati, insegnante di lettere in un liceo classico, e scrive "Esperienze pastorali": l'opera, che pure riceve l'imprimatur, viene ritirata a pochi mesi dalla pubblicazione.

Nell'inverno del 1954 egli viene spedito in una località montana del Mugello, Barbiana, frazione piccola e piuttosto isolata situata nel Comune di Vicchio: il suo "esilio" in un luogo tanto sperduto è dovuto ai suoi continui screzi con la Curia fiorentina. A Barbiana Don Milani intraprende il primo tentativo di scuola a tempo pieno dedicato alle classi popolari, e sperimenta la scrittura collettiva.

La scuola locale è, in effetti, un collettivo vero e proprio in cui tutti collaborano e lavorano insieme, 365 giorni all'anno, all'insegna della cooperazione. La struttura scolastica è situata in alcune stanze della canonica vicina alla chiesa, ma spesso la lezione si svolge direttamente all'aperto.

Gli anni '60

Nel 1965 viene pubblicato da Libreria Editrice Fiorentina "L'obbedienza non è più una virtù. Documenti del processo di Don Milani": anche a causa di tale pubblicazione egli viene inserito tra i cosiddetti cattocomunisti, pur essendosi sempre schierato contro i totalitarismi e le dittature come il comunismo.

L'obiezione di coscienza

Sempre al 1965 risale un'altra pubblicazione, "Obiezione di coscienza", edita dalla vicentina La locusta. Si tratta di uno scritto in cui Don Milani si pronuncia a favore del diritto all'obiezione di coscienza alle Forze Armate (e che era già stato diffuso sul settimanale "Rinascita"): a causa di questa pubblicazione, egli viene addirittura processato per apologia di reato, e il 15 febbraio del 1966 viene assolto in primo grado.

In seguito la scuola di Barbiana (cioè il gruppo di studenti di Lorenzo) dà alla luce "Lettera a una professoressa", realizzata nel maggio del 1967: in essa gli alunni, con la collaborazione di Don Milani, mettono in evidenza le contraddizioni di un metodo didattico e di un sistema scolastico che costringono la maggior parte del Paese all'analfabetismo favorendo unicamente l'istruzione dei ragazzi che appartengono alle classi sociali più ricche.

Tra l'altro, Lorenzo Milani adotta lo slogan "I care" (che significa "Mi interessa", "Mi importa", in contrapposizione con il motto "Me ne frego" tipico del fascismo): la frase viene riportata su un cartello posizionato all'ingresso della scuola, e mette in evidenza lo scopo principale di un'istruzione finalizzata alla consapevolezza civile e alla coscienza sociale.

La morte

Durante la scrittura di "Lettera a una professoressa", Lorenzo Milani si ammala: nonostante ciò, egli decide di stare il più possibile vicino ai suoi ragazzi, anche per insegnare loro cosa sia la morte.

È solo pochi giorni prima di trapassare che lascia Barbiana per fare ritorno a Firenze, riposando nella casa di sua madre. Don Milani muore il 26 giugno del 1967 per le conseguenze di un linfogranuloma.

Il suo corpo viene tumulato nel cimitero che si trova vicino alla chiesa di Barbiana: egli viene seppellito con ai piedi gli scarponi da montagna e indosso l'abito talare.

"Lettera a una professoressa" verrà pubblicata solo dopo la morte di Don Milani, e anticiperà il movimento studentesco del Sessantotto. Il processo per apologia di reato che lo vedeva imputato, e che avrebbe dovuto emettere la sentenza di appello nell'ottobre del 1967, si conclude con un nulla di fatto: il reato viene dichiarato estinto per morte del reo.


ultimo aggiornamento: 07/03/2015






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